Diario di bordo 1
Chiusa e battello in rada
Mozzo all'opera. Notare la destrezza e la grazia nei movimenti

Chiusa e battello in rada

Mozzo all'opera. Notare la destrezza e la grazia nei movimenti

Scorcio dell'interno del battello

Scorcio dell'interno del battello

Un altro maestoso maniero
Uno dei castelli visitati

Uno dei castelli visitati

Un altro maestoso maniero

Lupi di mare I° parte

Di solito si dice lupi di mare ma nel mio caso… Adesso vi racconto. Primavera 1996. Venivo da un quinquennio difficile iniziato nel 1991. Era necessario recuperare un po' di serenità. Ma come? Bene, visto che l’estate non era lontana, si pensava ad una vacanza non da soli ma in compagnia di amici coi quali avevamo già condiviso sia gite più o meno lunghe che soggiorni più duraturi. Discussioni, dibattiti, questo non sarebbe male, qui non se ne parla neanche ecc… ecc… Ognuno diceva la sua, a volte concordando con gli altri, a volte in disaccordo con varie motivazioni. Poi, un lampo, non di genio ma semplicemente di interesse verso un tipo di vacanza non molto usuale anzi, direi proprio insolita. Assumendo l’identità di lupi di… fiume, la vacanza proponeva di navigare lungo la Marne, Marna in italiano, da Kraft a Lagarde, due località sul fiume francese, punti di partenza ed arrivo dell’escursione, guidando un battello che la società organizzatrice metteva a disposizione dei... lupi.

Ma, a disposizione che vuol dire? Vuol dire quello che è scritto cioè che ti imbarchi e vai. Vai come? Ma è chiaro : senza nessun aiuto ma fidando sulle proprie capacità a condurre un battello che, assicurava l’organizzazione, non necessitava di alcuna esperienza in merito e non richiedeva patentini di sorta. Come andare in bicicletta!! Prese le misure, dopo i primi sbandamenti si và. Qualche remora l’avevamo ma poi prevalse il fascino dell’ignoto che ci spinse ad intraprendere questa avventura. Dopo questa decisione, bisognava però pianificare la vacanza in modo un po' articolato. Poichè la navigazione copriva un lasso di tempo di qualche giorno, pensammo di integrare queste giornate con la visita ad alcuni castelli della Loira, visita che non ci avrebbe portato molto lontano dalla nostra meta finale. Valutati i pro ed i contro, decidemmo di “dar luogo a procedere” e partì l’organizzazione.

Mezzi di locomozione : due auto per sei persone, una magnifica Panda 1000 bianca, la mia, e l’altra che non mi ricordo più che cos’era. Intanto, il battello che avevamo noleggiato, era per 8 persone che, essendo noi in 6, ci avrebbe garantito, forse, qualche disagio in meno. Finalmente arrivò l’ora della partenza. Era il 20 Agosto 1996. Devo dire che il viaggio di avvicinamento alla nostra meta iniziale, il primo dei castelli della Loira, si svolse senza problemi. Iniziò una serie di giornate dedicate alla “cultura” che, dopo le prime interessanti visite, ci consegnò dei manufatti praticamente tutti uguali, torri cilindriche a cono svettanti nel cielo, ampi parchi molto ben curati, saloni e stanze arredate con mobili d’epoca. In giorni diversi ne visitammo tre o quattro portando a termine la “formazione culturale” e finalmente ci dirigemmo verso il punto di raccolta dei croceristi dove, espletate le formalità di rito e presa visione del battello a noi assegnato, un funzionario ci fece vedere e toccare con mano, come si poteva e doveva operare per non avere problemi (sic... sic... come fanno nei fumetti quando ci sono difficoltà!!!).

Tirando fuori la nostra conoscenza del francese, cercammo di incamerare al meglio le istruzioni che ci venivano fornite. Dimenticavo : fui “nomato” captain” del battello con tanto di insegne di ordinanza, un cappello da vero comandante.. (a lato, uno dei castelli visitati e, nella pag successiva, l’equipaggio schierato in parata)Con la benedizione del funzionario, a dire il vero un po' pensieroso e con le mani nei capelli (per grattarsi, mica per altro) dopo aver visto le nostre (in questo caso le mie) manovre di stacco, partiamo. Mi resi subito conto che non era come andare in bicicletta di cui dicevamo prima. Era tutt’altra cosa!!! Appena toccata la barra (o volante, non mi ricordo più) il battello prese a ruotare e ad andare a zig zag con un po' di sgomento da parte mia e da quella dell’equipaggio che però sembrava aver compreso meglio di me la tecnica per manovrare il battello.

Resomi conto della situazione, rassegnai subito le dimissioni dalla carica di captain lasciando ad altri la difficile incombenza e ufficializzando il tutto con il passaggio del “cappello da captain” il che mi dispiacque un po' (non per la carica ma per il cappello). Le cose andarono subito meglio e, dopo qualche tentativo di sfuggire ai comandi impartitigli dal nuovo captain, il battello mise “la testa a posto” e potemmo procedere, con circospezione ma cominciando a capire come manovrare senza andare di traverso nel fiume. Intanto, venni retrocesso a mozzo, carica che accettai cercando di operare al meglio. La mia incombenza principale consisteva nell’ancorare il battello quando si giungeva alla chiusa. Già,però non vi ho ancora spiegato come funzionava il tutto. Orbene, il fiume Marna, non score in modo livellato ma è come se ci fossero dei gradini, come le scale, identificate dalle chiuse, che regolano il percorso del battello,

Questo, arrivato alla chiusa, doveva salire o scendere di livello fino a raggiungere quello dell’acqua dopo la chiusa, dopodichè , poteva ripartire. Per consentire la messa in moto della procedura di livellamento, una volta entrati nella chiusa, occorreva ancorare il battello per attivare l’avvio dell’operazione. E qui entrava in azione il mozzo (io) che scendeva al volo (esagerato!!!) dal battello e correva ad ancorarlo al molo utilizzando apposite corde (immagine a lato). Ma come si attivava il tutto? In fase di avvicinamento, la chiusa era stata attivata tirando un pendaglio appeso ad una corda tesa sul fiume tra una riva e l’altra. Questo dava luogo all’apertura di una paratia per consentire l’ingresso del battello all’interno della chiusa.

Questa manovra metteva un po' in apprensione l’equipaggio. Se mancavamo l’aggancio, cosa sarebbe successo? Entrava in azione allora l’addetta al comfort del personale di bordo che si rinfrancava gustando una tazza di caffè preparato al momento. ( al termine dell’avventura, scoprimmo poi di essere diventati caffè dipendenti!!!)

Ma non corriamo troppo. Dopo avervi anticipato come si svolgevano l e operazioni, torniamo all’inizio dell’avventura. Il responsabile della stazione ci esortò a fare molta attenzione ai paracolpi che penzolavano dai bordi del battello : erano molto delicati e si deterioravano facilmente se prendevano troppi colpi nelle fasi di manovra soprattutto di attracco. Ogni danno arrecato ci sarebbe stato addebitato. (a me sembravano dei normali pneumatici ma forse mi sbagliavo). Altra raccomandazione : in navigazione mai troppo vicini alla riva perché c’era il pericolo di incappare in agglomerati di alghe che avrebbero potuto danneggiare le eliche.

Insomma, niente di così difficile ma neanche troppo semplice, almeno apparentemente. Stimolati dal sermone del funzionario, partiamo. Avvicendato il captain come vi ho descritto prima,

LUPI DI ...

lasciamo il molo e, zizzagando un po', ci avventuriamo in mezzo al fiume. Non ci sono battelli che scendono per cui possiamo manovrare con una certa tranquillità. L’apprensione iniziale, a poco a poco va scemando, il nuovo captain è all’altezza per cui possiamo rilassarci gustando un buon caffè preparato dall’addetta al comfort eletta sul campo.(attenzione, non lo sapevamo ancora ma iniziava l’era del caffè) Finalmente in moto. Il tempo non era un granché anzi faceva un freddo boia ed il cielo era pieno di nuvole. Ci eravamo forniti anche di biciclette perché l’intento era di utilizzarle quando scendevamo a terra per fare delle escursioni nei villaggi o paesi incontrati durante la navigazione. Ma questa intenzione rimase poco più di una chimera, anche se qualche escursione la facemmo.

Intanto il battello procedeva come un ubriaco un po' malfermo sulle gambe, alternando scivolate tranquille sull’acqua a sbandate anche consistenti. E poi, attenzione ai battelli, per fortuna non molti, che facevano un itinerario contrario al nostro. I primi incroci furono molto importanti perché, dopo esserci avvicinati qualche metro di troppo, prendemmo le giuste misure per procedere in sicurezza. Ciò non toglie che quando le sagome dei battelli, alcuni anche molto grandi, si profilavano all’orizzonte, scattava la sindrome da contatto facendo emergere qualche timore, superato, pensate un po', con una bella tazza di caffè che ci ridava tranquillità e vigore.

Tutto sommato, la prima giornata stava trascorrendo in modo accettabile (non eravamo mai stati in barca in quel modo, soprattutto guidando un battello neanche tanto piccolo) e si avvicinò il momento dell’incontro con la prima chiusa. Non appena la vedemmo profilarsi da lontano, di solito un caseggiato bianco con mattoni a vista e, naturalmente, attrezzature per le manovre, cercammo di avvistare il meccanismo di avvio delle operazioni di ingresso nella chiusa. “Vai piano, rallenta, spostati un po' verso il centro, via così” dicevamo al captain confondendogli solo le idee anziché aiutarlo. In qualche modo, il mozzo, che aveva assunto la giusta posizione, riuscì ad arpionare il meccanismo e, miracolo, la chiusa si aprì permettendo al battello di entrare per poi arrestarsi al centro del bacino toccando delicatamente ma più volte il molo.

Nel frattempo il mozzo, con l’aiuto dell’equipaggio, era velocemente sbarcato portandosi dietro la corda che gli consentì di ancorare la barca al piolo. Quasi subito, un gorgoglio profondo ci avvisava che l’operazione travaso era partita. Tempo una decina di minuti si sarebbe conclusa e potemmo ripartire. In effetti, trascorsero poco più di una ventina di minuti dal nostro ingresso in chiusa. Tutto sto framestio però ed il nostro gran da fare per operare al meglio superando i primi ostacoli, ci aveva un po' stressato.

Tutti d’accordo, decidemmo di fermarci a ridosso della riva per consentire di riposarci, riordinare le idee, pensare a come organizzarsi per la notte e quelle a venire ed anche per soddisfare alcune … esigenze personali. Dopo aver deciso come ripartire le postazioni, tre più i bagagli, io e il captain scendemmo dal battello per far … due passi nel bosco fiancheggiante il fiume. Risalendo a bordo dopo un po', notammo subito uno strano “niente”. Ed un’atmosfera un po' “pesante”, nessun rumore né chiacchiere. Silenzio. Ci stavamo avvicinando agli altri componenti l’equipaggio quando venne pronunciata la frase ormai diventata un cult dal momento in cui fu sentita :

( … fa fiòi, a lé mac lunes)

sguardo rivolto a terra con posa mesta e meditabonda. Come per incanto però, la frase ruppe questo alone di mesticismo, tutti si misero a parlare commentando in vario modo il significato e contenuto delle parole pronunciate e, naturalmente, attivando l’intervento dell’addetta al comfort che si adoperò nell’approntare una merenda per tutti, stavolta a base di tè.

Rinfrancati dalle ritrovate energie ed anche nello spirito, ripartimmo senza accorgerci che ci eravamo portati troppo a ridosso della riva causando uno sradicamento di erba ed alghe di cui non ci accorgemmo subito. La prima giornata trascorreva tranquilla, passammo un paio di altre chiuse senza grossi problemi, qualche colpo sui moli (tanto c’erano i paracolpi!!!) e via così arrivando al punto d’attracco dove ci ancorammo dopo una manovra con qualche difficoltà, seguita con attenzione ed apprensione dall’equipaggio. Tutto andò a buon fine incidendo positivamente sul morale di tutti. Raggiunto questo primo traguardo decidemmo di festeggiare concedendoci una cena in uno dei ristoranti che incontrammo lungo le strade che percorremmo una volta sbarcati.

Uscendo dalla stazione di ancoraggio, notammo tra gli altri, un battello uguale al nostro, un gemello tale e quale. Chissà se andava nella nostra stessa direzione o percorreva il fiume risalendolo? Non che avessimo intenzione di chiedere ai marinai, era solo una riflessione. Dopo aver consumato una frugale cena e fatti due passi per il paese, dove gli esercizi commerciali erano tutti illuminati e proponevano in vendita articoli e gadget di ogni tipo, rientrammo a bordo e trascorremmo una notte tranquilla, con qualche mugugno e battute sulla sistemazione trovata : chi aveva freddo contrapposto a chi pativa troppo caldo, chi era praticamente appollaiato sul vano motore e così via.

Poi prevalse la stanchezza e ci addormentammo. Per me si fa per dire perché almeno un paio dei membri dell’equipaggio iniziò un russare sommesso che non conciliava certamente il sonno. (vi ricorda per caso una situazione simile verificatasi a Bormio tempo prima?!!!) ma per fortuna questo stato di cose non si protrasse troppo a lungo. Il mattino seguente di buon’ora, dopo una buona colazione, lasciammo l’attracco e riprendemmo la navigazione. Uscendo, notammo che il battello gemello era ancora in rada.

Solo un’osservazione. Mentre procedevamo tranquilli, squilla il mio cellulare. Chi sarà mai a quest’ora? Rispondo e subito sento una voce allegra che dice : papà papà ce l’ho fatta!!! Comincio lunedì. Sono contento Lori, perché è di lei che si tratta. Fai attenzione. Ma attenzione a cosa? Improvvisamente esco dalla confusione in cui mi aveva gettato la chiamata inaspettata e riesco a dire : Cominci lunedì a far che e dove? Risposta : Mi hanno assunta in TIM!! Incredulo, mi faccio spiegare l’arcano e comunico la lieta novella a mia moglie che parla con lei mentre io avviso la ciurma.

Complimenti da parte di tutti, una buona novella. Dopo un po' di tempo trascorso in navigazione senza problemi, decidemmo che, al prossimo scalo, avremmo utilizzato le biciclette per effettuare una piccola escursione nei dintorni ed anche per andare a fare spese in un supermercato che avevamo incrociato risalendo il fiume.

Era una giornata non bellissima ma discreta ed una “biciclettata” era proprio quello che ci voleva per movimentarla. Detto fatto. Scesi dal battello ci avviammo con le bici girovagando un po' nei dintorni fino a quando decidemmo che era il momento della spesa. Entrammo nel supermercato e ci approvvigionammo di quello che ci serviva. Non c’era differenza tra la tipologia dei supermercati francesi ed i nostri a parte ovviamente la provenienza delle merci e la modalità delle offerte proposte.Terminata la spesa, ognuno si accinse a pagare quanto aveva acquistato. In coda alle casse, vedemmo arrivare il captain con un carrello stracolmo di … pasta, verdure, bottiglie di vino e altri generi? No, solo ed esclusivamente dolci, un carrello strapieno di budini, creme varie, tortine assortite, cioccolata,varie qualità di biscotti e altri dolci che non avevamo mai visto. Gli chiedemmo il perché di questa scelta ed il captain ci confessò candidamente che era solo per assaggiare e provare la qualità dei dolci francesi, assaggio che durò per tutto il resto del viaggio senza riuscire, anche con il nostro contributo, a smaltire le scorte. (che poi sti dolci francesi non erano un granchè) Rientrati a bordo e sistemate le vettovaglie mangiando anche qualche dolce, visto che c’erano, lasciammo la stazione e ci avviammo costeggiando tranquilli. Anche troppo visto che, giungendo a ridosso di una chiusa, dopo aver espletato le manovre ormai di rito, scopriamo che “la chiusa rimane chiusa”.

Dove abbiamo sbagliato? Ripetiamo la manovra ma il risultato non cambia. Fermè, come avrebbe detto un francese, che non vuol dire ferma ma proprio chiusa. Piccolo panico e ipotesi varie. Abbiamo rotto il motore? No e poi non c’entra col fatto che la chiusa non si apre. Manca carburante? Altra ipotesi strampalata. Il battello non ha niente!! Mentre continuano le ipotesi, qualcuno guarda l’ora e dice : non sarà che è troppo tardi e le chiuse hanno “finito l’orario di ufficio” e riaprono domattina? Ed era proprio così!!

Tra gli incartamenti che ci avevano consegnato alla partenza, c’erano anche gli orari di apertura e chiusura, stazione per stazione tra le quali anche quella dove eravamo fermi noi!! Preso atto della situazione non resta che organizzarci alla luce dei nuovi avvenimenti. Intanto, il tempo sta decisamente volgendo al brutto, inizia a piovere e, data l’umidità molto alta, sale anche la nebbia. Proprio una serata ed una nottata da tregenda.

Ci consoliamo con un buon caffè preparato dalla nostra addetta e spostiamo poi il battello a ridosso della riva anzi, più che a ridosso, proprio urtando il terrapieno.Non ostante un po' di disagio, facendo attenzione ai vari rumori e gridolii che provengono dall’esterno, la serata trascorre tranquilla tra battute e risate riguardanti avvenimenti trascorsi che ci coinvolsero. Il mattino seguente, dopo colazione e … toelettature varie, partiamo. Partiamo ho detto. No, non partiamo, nel senso che, il motore gracida e stenta ad avviarsi ed il battello non si muove. Non passa nessuno, è ancora presto. Siamo isolati.

Che fare? Non è che ci sia molto da scegliere. Avvisiamo la base perché intervengano. Poiché parlo abbastanza bene il francese, tocca a me procedere. Chiamo la base e parlo con una signorina che stenta un po' a capire, né lei con me né io con lei. Vista la situazione di stallo, mi passa un tecnico col quale riusciamo ad intenderci meglio e forse si rende conto della natura del problema perché mi fa alcune domande chiedendomi delle alghe. Voleva sapere se, durante la navigazione, ne avevamo incontrate, soprattutto a ridosso delle rive. Facendo mente locale, rispondo di sì. Il tecnico rimugina un po' bofonchiando qualcosa che non comprendo bene.

Allora gli chiedo di intervenire presto perché, “nous somme ant la m...” detto in piemontese francesizzato, parola che avrebbe proferito il visconte Monsieur de Cambronne durante la battaglia di Waterloo combattuta tra l’esercito francese e quello inglese all’epoca di Napoleone.Dato che è una cosa risaputa ed un fatto storico, evidentemente ne era a conoscenza perché mi rispose subito : “J’ ai compris. Vous ete dans la m… Nous venon tout de suite” che non ha bisogno di traduzione

Conclusa la telefonata, riferii all’equipaggio e ci mettemmo in attesa. Che non durò poi più di tanto, poco più di un’ora. Si presentarono in due e, dapprima, ispezionarono il battello trovandolo a posto. Allora, si immersero e cominciarono ad esplorare il comparto delle eliche e qualche altro anfratto sotto la chiglia. Riemersero dopo un po' carichi di erbe ed alghe che esibirono come trofei. Provammo ad avviare e constatammo che era tutto a posto. Espletate le formalità, ripartiamo. Mentre il battello manovrava, notammo però qualcosa di insolito su una delle fiancate della barca : uno dei paracolpi era un po' afflosciato e, guardando bene, non si poteva non notare. Ad un controllo sarebbe stato evidente.

Ripensando al percorso fatto, ci vennero in mente i colpi e le strusciate contro rive e moli che sicuramente avevano causato il problema. Il gestore della base, prima di partire, ci aveva avvisato che qualsiasi danno causato, ci sarebbe stato addebitato. Bè, ormai era fatto, inutile rivangarci su. Riprendemmo la via e, dopo la sosta per il pranzo, verso sera, giungemmo alla stazione di attracco, una delle più grandi finora incontrate dove c’erano già molti battelli ancorati. Mentre si manovrava, ci saltò all’occhio qualcosa di familiare : il nostro battello gemello che evidentemente, faceva il nostro stesso percorso in tempi diversi perché in navigazione non lo avevamo mai incontrato.

Lì per lì non ci facemmo caso ma poi… Poi, non so a chi venne l’idea ma qualcuno l’ebbe. Stavolta sì una pensata geniale!!. Il battello era o non era il nostro gemello? Certo che lo era. Allora, anche i paracolpi erano gemelli!! Se lo erano, avremmo potuto sostituire il nostro, danneggiato, con uno integro del battello B. Colpiti ed ammirati da questa soluzione messa sul tavolo, decidemmo che, per sgombrare il campo da ogni dubbio, occorreva fare subito una ricognizione per verificare la nostra ipotesi..

E così fu. Facendo una passeggiata, ci dirigemmo dall’altra parte del molo dove il battello B era ancorato. Con noncuranza, ci avvicinammo il più possibile e constatammo che sì, era proprio il nostro battello, uguale in tutti i particolari, anche quello che ci interessava di più. Tornammo a bordo e facemmo il piano di battaglia : cena tranquilli e poi ricerca di : una mimetica, borsone dove infilare il paracolpi da sostituire, gancio per manovrare il paracolpi.

Esito della ricerca dell’abbigliamento ed attrezzature stabilito : proprio mimetica no ma una maglietta scura, possibilmente nera e jeans sì. Ci vestimmo e, a sera inoltrata quando ormai era buio, demmo il via all’operazione paracolpi Il commando in silenzio, si portò vicino al battello B. Nessuno in vista, né intorno al battello né nei paraggi. Qualche ripensamento subito fugato poi il captain ruppe gli indugi, si arrampicò sul battello e scambiò i paracolpi. Non uno qualsiasi ma quello che, sulla nave B, occupava la stessa posizione del nostro. Inboscamento della refurtiva e rientro a bordo con posa del paracolpi Missione compiuta. Caffè? No, questa volta, un buon bicchierino di liquore dolce offerto dal captain. Molto gradito. 

Fine I° parte